Sibilla #2 - Il femminismo di Giorgia Meloni
Giorgia Meloni non ama parlare di femminismo, ma le piace l'idea di essere più femminista delle femministe.
Dopo che la ministra della Natalità Eugenia Roccella è stata contestata da un gruppo di studentesse femministe agli Stati generali della natalità lo scorso 9 maggio, la premier Giorgia Meloni ha scritto un post per difenderla:
Nel post, la premier fa intendere neanche tanto velatamente che Roccella sia stata zittita in quanto donna e per di più da “un gruppo di contestatori che si riempiono la bocca delle parole libertà, rispetto e autodeterminazione delle donne”. È chiaro che Meloni faccia riferimento alle femministe.
Questa sembra essere un po’ un’abitudine di Meloni: si fa molta fatica a reperire dichiarazioni di Meloni sul femminismo o sulle femministe, che spesso descrive con ampi giri di parole. Dopo che alcune attiviste danneggiarono la serranda della sede di ProVita e Famiglia durante la manifestazione del 25 novembre a Roma organizzata da Non Una Di Meno, ad esempio, la premier parlò di “protagonisti di intollerabili atti di violenza e intimidazione” e di “certa sinistra”.
Cercando su Google notizie e dichiarazioni che legano Meloni al femminismo, è però possibile trovare decine di articoli e commenti che attribuiscono al primo ministro la qualità di “femminista”, non tutte dei giornali di destra. L’impressione è che da quando è diventata premier, a Meloni non dispiaccia l’idea di essere associata alla parola femminismo, o meglio, non dispiaccia l’idea di essere “più femminista delle femministe”.
Il femminismo cui fa riferimento Meloni è del tutto arbitrario, e andrebbe più correttamente descritto come “donnismo”.
Il femminismo e le radici politiche di Giorgia Meloni
Giorgia Meloni ha raccolto le fila di un partito, il Movimento sociale italiano, apertamente misogino, che ha avuto solo quattro donne elette nei suoi quasi cinquant’anni di storia. Il ruolo storico delle donne nel MSI era quello di “temperare le passioni con la loro femminilità, recando nei contrasti la loro parola d’amore”. Le cose cambiano alla fine degli anni Settanta, grazie alla spinta del Fronte della gioventù, che si oppone alle istanze più conservatrici del movimento e propone un nuovo ruolo politico per le donne del partito. Sulle pagine della rivista Eowyin: alternative femminili (sì, come il personaggio del Signore degli anelli), le militanti missine denunciano le “situazioni difficili” con i camerati e valorizzano il ruolo della donna “per quello che è”, anche in quanto casalinga o madre.
Bisogna però aspettare gli anni ‘90 con l’elezione di Alessandra Mussolini alla Camera con il MSI e successivamente con Alleanza Nazionale per vedere una donna che ricopre un ruolo importante in quell’area politica. Contemporaneamente, si fa strada anche la giovane Giorgia Meloni. Come si spiega in un articolo pubblicato dall’Osservatorio Coesione Sociale,
La crescita della rilevanza delle donne e gli inizi della carriera politica di Giorgia Meloni si ineriscono, non a caso, in un periodo di riformulazione identitaria che, a partire dagli anni Novanta, spinge la destra radicale italiana a cercare una legittimazione istituzionale anche attraverso nuove protagoniste femminili.
Questo processo coinvolge tutte le destre europee, compresa quella francese. Marine Le Pen, leader di Rassemblement National, ha detto di sé di essere “una donna disinvolta in un movimento descritto come un raggruppamento di individui maschilisti e violenti”. A differenza di Meloni, Le Pen si è definita una femminista, ma non bisogna dimenticare che in Francia il femminismo non è così legato storicamente alla sinistra come in Italia.
Fratelli d’Italia, come partito, ha invece una lunga storia di avversione per le femministe di movimento: nel 2010, la senatrice Isabella Rauti si definì “per le donne ma non femminista”, visto che il femminismo è capace solo di “nenie e lagnanze”. Nel 2018, il presidente del consiglio comunale di Verona di Fratelli d’Italia difese un consigliere di centrodestra che aveva fatto il saluto romano alle attiviste di Non Una Di Meno che avevano interrotto il consiglio per protestare contro i cimiteri dei feti. Sui profili social di FdI ci sono decine di post della serie: “Dove sono le femministe?”, sia in caso di insulti sessisti rivolti a esponenti di centrodestra, sia per commentare fatti di attualità che coinvolgono le donne su cui ci sarebbe stato un presunto silenzio delle femministe, come in Afghanistan o in Iran (se lallero).
Più femminista di te
Negli ultimi anni, però, il modo in cui Meloni e Fratelli d’Italia fanno riferimento al femminismo è cambiato e sembra voler dimostrare la tesi che Giorgia Meloni sia in realtà l’unica “femminista” del panorama politico italiano.
Quando Renzi rilasciò le famose dichiarazioni su Italia Viva come il “primo partito femminista nella politica italiana”, Meloni replicò:
Nell’autunno del 2022, in un’intervista a ridosso delle elezioni, Meloni disse di essere pronta a governare, anche se le “femministe di casa nostra” non tolleravano una sua vittoria. “Loro si sono sempre accontentate di qualche strapuntino concesso dal leader uomo di turno”. Il sottotesto è che lei non si è accontentata, non ha cercato scorciatoie e ce l’ha fatta da sola.
Il fatto che Giorgia Meloni sia diventata la prima presidente del Consiglio donna in Italia è sicuramente un importante traguardo, che Meloni rivendica come una conquista personale, ottenuta senza l’aiuto di nessuno (cosa a cui ricorrebbero invece “le femministe”). Anche la recente intervista al podcast di Diletta Leotta, in cui ha detto di “non credere alla solidarietà tra donne” (ma tra mamme sì) sembra andare in questa direzione.
Questa idea è ribadita più e più volte in una delle fonti più dirette per capire cosa pensa Meloni del femminismo e, più in generale, delle questioni di genere: l’intervista pubblicata dal settimanale Grazia in occasione dell’8 marzo del 2023.
Di questa intervista, al di là delle solite dichiarazioni sul “gender”, è interessante il modo in cui Meloni parla di sé e del suo essere donna1:
D: In quali occasioni ha pensato che il suo fare politica per tutti dovesse trasformarsi in fare politica per le donne?
R: In realtà non l’ho mai pensato. E non ho mai creduto nelle politiche femminili o che le politiche per le donne dovessero essere relegate in un recinto, come se le donne fossero dei panda.D: Lei sostiene che la mancanza del padre l’ha portata a voler essere sempre accettata negli ambienti maschili e ha sempre sentito la competizione con gli uomini, non con le donne. Com’è la sua competizione con gli uomini?
R: Non mi è mai piaciuto contrapporre uomini contro donne e non penso faccia bene alla società italiana alimentare costantemente questa dicotomia tra i due sessi.D: Ha incontrato uomini meschini, in politica e nella vita privata?
R: Esistono persone meschine e persone di animo nobile. E io ne ho incontrate in entrambi i sessi.D: Pensa che le donne parlino troppo sottovoce, abbiano paura di desiderare, di chiedere, di imporsi?
R: Ritengo da sempre che le donne abbiano una grande forza autonoma che vada liberata dai mille ostacoli che la ingabbiano, ma anche dai tabù di cui spesso le stesse donne rimangono vittime. Non credono di potercela fare a competere con gli uomini e finiscono per competere tra loro stesse, convinte che ci sia un livello più basso a cui relegare le proprie competenze. Non è così. se si crede in se stesse, e si lavora duro, ogni obiettivo si può raggiungere. Non ci sono limiti.
Una delle risposte più importanti è quella alla prima domanda dell’intervista, dove Grilli chiede a Meloni se si senta più discriminata perché donna o perché di destra. Meloni risponde con un lungo panegirico senza affermare né negare di essere mai stata discriminata, ma dicendo solo che “se sei donna, e pure di destra, il percorso si complica ancora perché su di te pesa quel falso mito creato ad hoc dalla sinistra: se sei di destra non puoi essere bravo e competente”.
Quando allude al femminismo, Meloni sembra alludere proprio a questa idea: il genere non conta niente, essere donna non porta alcun tipo di vantaggio, conta solo essere bravi. E io sono brava.
Il matriarcato secondo Giorgia
Con questo atteggiamento Giorgia Meloni non ha conquistato molte femministe. Eppure, non vanno ignorati gli sforzi della premier di smarcarsi dall’accusa di essere una rappresentante del patriarcato. Lo ha fatto diverse volte: a settembre del 2022, quando risposte a un tweet di Enrico Letta:
E ancora a novembre del 2023, dopo il femminicidio di Giulia Cecchettin e alcune dichiarazioni di Lilli Gruber, con tanto di prove fotografiche:
Inoltre Meloni ha più volte sottolineato l’endorsement di alcune femministe nei suoi confronti, in primis la ministra della Natalità Eugenia Roccella, che pur avendo fatto un’ammirevole inversione a U sul tema e strumentalizzando di continuo il suo passato, senz’altro non si può dire l’ultima arrivata. Roccella usa spessissimo il femminismo per ripararsi dalle critiche, come quando citò Carla Lonzi per difendere la propria posizione antiabortista.
Fratelli d’Italia poi non si fa scappare ogni occasione utile per citare il fatto che le femministe (che piacciono a loro) promuovano le loro stesse politiche anti-gender e anti-LGBTQ+, come quelle contro la gestazione per altri. Meloni ha citato più volte figure dissidenti come quella di Marina Terragni (che ha partecipato recentemente alla conferenza programmatica di FdI), ha manifestato solidarietà ad Arcilesbica e ha rilanciato la notizia di “associazioni femministe contro l’utero in affitto”.
Che Giorgia Meloni non sia femminista non è una sorpresa, insomma. Ma sarebbe sbagliato pensare che dell’argomento non si interessi, ma anzi addirittura sembra tentare di appropriarsene con le tecniche di stravolgimento retorico a cui ci ha abituati su tanti altri temi (vedi cose come “il diritto di non abortire”).
Elia Arfini ha condotto un’analisi quantitativa sul discorso femminista presente nel libro di Giorgia Meloni Noi crediamo. Viaggio nella meglio gioventù d’Italia (insieme ai libri dell’ex deputata Flavia Perina e della ministra Daniela Santanchè) e parla di un emancipazionismo complementarista, che “incorpora in modo selettivo alcuni temi storicamente discussi dal femminismo [ma] non fa del femminismo un discorso di destra, piuttosto rende le donne e la questione femminile oggetto del capitale politico della destra”.
Il consiglio
Per approfondire il tema di questa settimana, consiglio di leggere Femonazionalismo. Il razzismo nel nome delle donne di Sara R. Farris. Il libro racconta, attraverso l’analisi delle retoriche e delle politiche di alcuni partiti della destra europea, come questi ultimi strumentalizzino i temi femministi per promuovere politiche xenofobe e razziste.
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