Sibilla #29 - La ferita di Ernest Hemingway
L'uscita al cinema del film tratto da "Di là dal fiume e tra gli alberi" consente di riscoprire sotto un'altra luce il complesso rapporto di Hemingway con la mascolinità.
Giovedì 3 luglio è uscito nei cinema italiani Di là dal fiume e tra gli alberi, film di Paula Ortiz con Liev Schreiber e Matilda De Angelis, tratto da uno dei più sfortunati e meno celebrati libri di Ernest Hemingway. Il romanzo, pubblicato nel 1950 (ma in Italia solo nel 1965), racconta la storia del colonnello dell’esercito americano Richard Cantwell che, con pochi giorni da vivere, decide di trascorrerli a Venezia con Renata, una giovane nobile veneziana di cui è innamorato. Uscito dopo un lungo silenzio, Di là dal fiume e tra gli alberi fu un enorme flop commerciale e fu molto criticato, perché giudicato troppo romantico e autoreferenziale. Rimase incastrato tra due grandi capolavori – Per chi suona la campana e Il vecchio e il mare – ed è stato riscoperto solo di recente perché, tra le altre cose, sembra offrire una chiave di lettura interessante per un aspetto poco esplorato ma nient’altro marginale della topica di Hemingway: il genere.
Verso la fine della sua vita, il mito di Hemingway era entrato in crisi. Proprio mentre stava correggendo la bozza di Across the River nel 1950, in occasione di un viaggio a New York Lillian Ross ne scrisse un lungo profilo per il New Yorker, dove lo descriveva come “il più grande romanziere e autore di racconti americano vivente”, ma allo stesso tempo ne enfatizzava i comportamenti rudi e machisti, l’ossessione per la caccia e per la guerra.
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