Sibilla #12 - Essere donne a Gaza
Da un anno le donne a Gaza vivono in condizioni disperate, mentre il mondo resta a guardare.
Questo numero di Sibilla è gratis per tuttə. In cambio, vi invito a donare in supporto del popolo palestinese. In fondo all’articolo, trovate alcuni suggerimenti per farlo.
TW: violenza sessuale
Dal 7 ottobre 2023, le donne che vivono nella striscia di Gaza stanno vivendo un inferno. Le bombe e i carri armati di Israele non guardano sesso o età, ma come in ogni situazione di guerra e assedio le donne si ritrovano a vivere specifiche condizioni di vulnerabilità legate al loro genere.
Una crisi di medicina di genere
L’IDF ha ucciso in un anno più di 41mila persone e ne ha ferite quasi 100mila, se si contano soltanto le morti dirette. Si stima che più della metà siano donne. A luglio, The Lancet ha pubblicato nella rubrica della corrispondenza una lettera secondo cui i numeri dei decessi forniti dal Ministero della salute palestinese andrebbero moltiplicati, secondo una stima conservativa, almeno per quattro. Oltre alle morti causate dai bombardamenti, dagli attacchi o dai crolli degli edifici, andrebbero conteggiate anche quelle dovute alle conseguenze sanitarie del genocidio in corso. Si stima che a Gaza l’83% delle forniture mediche sia esaurito e i pochi ospedali ancora funzionanti stanno sospendendo praticamente tutti gli interventi chirurgici, anche quelli urgenti.
Le donne che hanno bisogno di cure mediche salvavita a Gaza, secondo l’ultimo report di UN Women di settembre 2024, sono 177mila. Il report dettaglia i risultati di una ricerca condotta dall’organizzazione tra aprile e maggio di quest’anno, durante la quale ha intervistato più di 600 donne che vivono nella striscia. Storicamente le donne a Gaza hanno una salute peggiore degli uomini e sono più esposte al rischio di malattie infettive anche a causa del loro ruolo di caregiver nelle famiglie. Le condizioni igieniche inadeguate non fanno che aumentare questo rischio: al momento le donne che soffrono di infezioni cutanee sono quasi il doppio degli uomini e rappresentano due terzi dei casi di malattie gastrointestinali ed epatite.
Già prima del 7 ottobre, le malattie non trasmissibili come il diabete, l’ipertensione e le malattie cardiovascolari erano la prima causa di morte nella striscia di Gaza e le più diffuse nella popolazione femminile. Si tratta di patologie complesse e che richiedono cure e controlli costanti nel tempo, impossibili da sostenere al momento. Così come le cure per il cancro, che sono state tutte sospese. Nessuna delle sette donne malate di tumore intervistate dalle Nazioni Unite è più riuscita ad accedere alle terapie.
Oltre alla crisi sanitaria, le donne devono sostenere il peso di essere le principali addette alla cura dei familiari, compresi quelli malati e disabili. “In questo ruolo di cura, alle donne e alle bambine viene chiesto supporto psico-sociale, quando loro stesse stanno sperimentando gli stessi bisogni e quindi sono limitate nella capacità di aiutare gli altri”, si legge nel report. La crisi di salute a Gaza è infatti anche una crisi di salute mentale: il 75% delle donne intervistate da UN Women si sente depressa, il 62% non dorme regolarmente, il 65% si sente nervosa e ha incubi ricorrenti.
Quando si parla di medicina di genere, ci si riferisce non solo all’influenza delle differenze biologiche basate sul sesso sulla salute delle persone, ma anche a quelle culturali. La salute delle donne a Gaza è influenzata anche dai ruoli di genere loro assegnati: spesso le donne rinunciano alle cure mediche perché si sentono in dovere di dare la priorità agli altri membri della famiglia e, in situazioni estreme come quelle che sta vivendo ora il popolo palestinese, rinunciano al poco cibo a disposizione per darlo ai figli. Come ha spiegato la direttrice delle comunicazioni dell’UNRWA Juliette Touma, inoltre, “non mangiano e non bevono abbastanza non solo perché non c’è abbastanza per tutti, ma anche per limitare il tempo che devono trascorrere a usare servizi igienici sporchi e insalubri”.
La salute riproduttiva
A Gaza 690mila donne e adolescenti che hanno le mestruazioni non hanno accesso a prodotti di igiene mestruale, acqua pulita o anche soltanto la privacy necessaria per cambiarsi. Nei rifugi dell’UNRWA, scrive il Guardian, c’è un rotolo di carta igienica ogni 486 persone. Gli assorbenti sono introvabili. Molte donne hanno riportato disturbi legati al ciclo mestruale, come amenorrea e dismenorrea, per la quale non sono disponibili antidolorifici.
La situazione più critica riguarda le donne incinte. A settembre, secondo le Nazioni Unite, c’erano 155mila donne incinte o puerpere a Gaza, di cui 15mila a rischio carestia. Molte di loro hanno partorito o partoriranno in una tenda, in condizioni igienico-sanitarie tremende e sono stati riportati diversi casi di parti cesarei eseguiti senza anestesia. Tra le donne in gravidanza intervistate da UN Women, il 68% ha riportato complicazioni, come infezioni alle vie urinarie e anemia.
Lo scarso accesso al cibo, alle cure mediche e all’igiene, oltre che gli alti livelli di stress, hanno causato una vera e propria crisi di parti prematuri. L’aumento di nati prima del termine è stato registrato da diverse organizzazioni umanitarie, tra cui Oxfam e Medici senza frontiere. Le cure neonatali sono quasi impossibili da affrontare in questo momento, con un aumento della mortalità infantile e materna. Anche gli aborti spontanei sarebbero aumentati del 300%, con tutte le conseguenze del caso.
La violenza sessuale e di genere
Sono ormai numerose le testimonianze delle violenze perpetrate dall’esercito israeliano ai danni di donne e uomini palestinesi, in particolare quelli detenuti nelle carceri. Nel report di febbraio delle Nazioni Unite intitolato “Sexual Violence in Conflict”, dove si indagano anche gli stupri commessi da alcuni militanti di Hamas durante il 7 ottobre, si parla di “trattamenti inumani e degradanti” ai danni dei palestinesi, incluse diverse forme di abusi sessuali.
Il problema della violenza non si limita però soltanto all’occupazione israeliana. Secondo il Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione, c’è stato “un collasso totale dei percorsi pre-esistenti contro la violenza di genere”, che ha esposto le palestinesi all’aumento dei casi di violenza, esacerbato anche dalla presenza dell’esercito, dalla separazione dalle proprie famiglie, da “rifugi sovraffollati e insediamenti informali, la mancanza di servizi per lavarsi e latrine dignitosi e sicuri”.
Il problema della violenza di genere era già molto grave prima dell’inizio del genocidio: nel 2019, quasi il 60% delle donne sposate aveva subìto una qualche forma di violenza. Ora è praticamente impossibile tenere traccia degli abusi ai danni delle palestinesi, sia da parte dell’IDF che casi di stupri o di violenza domestica. Le iniziative anti-violenza di Gaza si sono quasi del tutto interrotte: è impossibile anche mantenere solo un numero di emergenza, dato che le linee telefoniche non funzionano.
C’è un solo modo per risolvere questa crisi: un cessate il fuoco. O almeno, lasciar entrare gli aiuti umanitari e le forniture mediche a Gaza. Le organizzazioni per la violenza di genere, ad esempio, riescono a inviare materiali informativi nei campi profughi solo attraverso i cosiddetti “dignity kit”, che contengono prodotti per l’igiene personale e mestruale.
In ogni situazione di conflitto, le donne sperimentano disagi ulteriori e specifici. Quello contro la Palestina, è noto, non è un semplice “conflitto”, ma ancora una volta le donne stanno pagando il prezzo più alto.
Il consiglio
In questo numero di Sibilla, non vi consiglio libri o film, ma vi consiglio di fare una donazione. Najeh è una delle donne palestinesi che soffrono di una patologia cronica e ha bisogno urgente di essere operata alla schiena. Non può farlo a Gaza ma può farlo in Europa, se raccoglie i fondi necessari a sostenere il viaggio. La si può aiutare qui.
Da mesi sostengo la raccolta fondi di Roshdi Rashad, uno studente di farmacia di Gaza. La sua raccolta è ancora aperta e permette a lui e alla sua famiglia di sopravvivere.
Se preferite donare a canali più ufficiali, è possibile fare una donazione all’UNRWA, l’agenzia delle Nazioni Unite per la Palestina.