Q&A #20 - La questione della rabbia
Carla e Laura chiedono come "gestire" la rabbia femminista per non trasformarla in qualcosa di respingente.
Ciao, io sono Jennifer Guerra e questo è il Q&A di Sibilla. Per il Q&A di oggi, Carla chiede:
Come pensi si possano coniugare la rabbia che si prova con il voler coinvolgere/sensibilizzare più persone possibili nelle questioni affrontate dal femminismo?
E sempre a questo proposito, Laura aggiunge:
Adoro questo tema! Aggiungo che si potrebbe guardare sia un punto di vista personale (come parlo con i miei amici, la mia famiglia?) e istituzionale (come far arrivare i miei messaggi a lavoro? a scuola?)
Care Carla e Laura,
il tema della rabbia è un tema centrale nella riflessione femminista, perché se da un lato le donne sono state storicamente rappresentate come creature docili e miti, dall’altro sono state anche rappresentate in negativo come creature mostruose dalla forza incontenibile. Questa ambiguità, insegna Simone de Beauvoir ne Il secondo sesso, replica l’ambiguità della forza della natura ora benigna ora distruttrice e il timore che l’irrazionalità prenda il sopravvento sulle opere dell’uomo (e qui uso uomo come sinonimo di maschio).
Va da sé quindi che la rabbia sia stata rivendicata da una quantità infinita di autrici, filosofe e pensatrici femministe come forza positiva capace di distruggere l’ordine patriarcale, i suoi simboli o addirittura i suoi esponenti (pensiamo a Valerie Solanas).
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