Sibilla #1 - Cosa sta succedendo con Harvey Weinstein
La corte d'appello di New York ha giudicato illegittimo il processo con cui Weinstein era stato giudicato per due casi di stupro. Cosa significa per il futuro del femminismo?
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Buona lettura!
TW: Violenza sessuale
Giovedì 25 aprile la corte d’appello di New York ha stabilito che la condanna a 23 anni di reclusione inflitta nel 2020 nei confronti dell’ex produttore cinematografico Harvey Weinstein per stupro è illegittima. Weinstein resterà però in carcere: sempre nel 2020, è stato condannato a 16 anni di carcere da un tribunale di Los Angeles per un altro stupro.
La decisione della corte d’appello è un duro colpo per il movimento #MeToo.
Le accuse a Weinstein, dall’inizio
Harvey Weinstein è stato per diversi anni uno dei produttori più potenti e stimati di Hollywood, grazie prima alla casa di produzione Miramax, co-fondata col fratello, e poi alla Weinstein Company. Ha lanciato la carriera di molti attori e attrici e ha prodotto film famosissimi, come Pulp Fiction, Will Hunting - Genio ribelle e Shakespeare in Love.
Già nel 2015, Weinstein era stato denunciato dalla modella Ambra Battilana Gutierrez per averla palpeggiata nel suo ufficio, ma i suoi ripetuti abusi sono venuti alla luce solo nell’ottobre del 2017, quando il New York Times e il New Yorker hanno pubblicato due inchieste che mostravano come il produttore avesse sfruttato la sua posizione di potere per abusare di decine di donne, sia aspiranti attrici che sue dipendenti. In particolare, le inchieste dimostrarono che Weinstein aveva cercato di ottenere il silenzio delle vittime attraverso il versamento di ingenti somme di denaro, come avvenuto nel caso del 2015. Queste inchieste hanno dato vita a un movimento contro le molestie che ha preso il nome di #MeToo.
A maggio del 2018, Weinstein si è consegnato alle autorità di New York, che l’avevano indagato per stupro e per “atti sessuali criminali” nei confronti di due donne, l’aspirante attrice Jessica Mann e la marketing executive Lucia Evans. Si aggiunse una terza accusa per una violenza sessuale perpetrata ai danni di un’assistente sul set del programma tv Project Runway, Miriam Haley. Dopo che l’accusa nei confronti di Evans cadde (perché uno dei detective aveva nascosto delle testimonianze a favore della difesa), si aggiunse un ulteriore capo di imputazione per lo stupro di Annabella Sciorra, che era una delle testimoni del processo.
A gennaio 2020, Weinstein è stato imputato anche a Los Angeles per altre due violenze ai danni di due donne diverse. A marzo del 2020 la giuria di New York, costituita da 5 uomini e 7 donne, ha ritenuto Weinstein colpevole di stupro e di atti sessuali criminali, condannandolo a 23 anni di carcere. Il produttore ha presentato ricorso.
Perché la corte d’appello ha accolto il ricorso e cosa succederà ora
Secondo la giuria della corte d’appello, durante il primo processo a New York sono state sentite indebitamente come testimoni donne che hanno accusato Weinstein di violenze sessuali, senza che però nessuna di loro fosse direttamente coinvolta nei casi oggetto del processo. L’accusa, insomma, ha preferito sottolineare il pattern di comportamenti violenti perpetrati da Weinstein anziché portare prove per dimostrare che avesse abusato di Miriam Haley, Jessica Mann e Annabella Sciorra, processando Weinstein sul suo passato. Questa strategia processuale era stata giudicata molto rischiosa sin dall’inizio.
Il verdetto della giuria della corte d’appello, costituita da 7 persone, è passato per 4 voti. Nelle opinioni dei 3 giudici contrari all’appello, si è parlato di una “preoccupante tendenza a ribaltare le sentenze di colpevolezza in casi che coinvolgono la violenza sessuale” (il riferimento è a Bill Cosby) e si è scritto che “gli uomini che sfruttano in modo seriale il loro potere per abusare delle donne, specialmente dei gruppi sociali più vulnerabili, beneficeranno della decisione di oggi”.
Weinstein ha annunciato che ricorrerà anche contro la sentenza del tribunale di Los Angeles. Il procuratore di New York ha dichiarato di voler celebrare un nuovo processo, che potrebbe tenersi già questo autunno.
Le conseguenze di questa sentenza per il movimento #MeToo
Jodi Kantor, una delle giornaliste che ha realizzato la prima inchiesta su Weinstein, ha spiegato nel podcast The Daily del New York Times che la strategia processuale voluta per Weinstein è stata sì rischiosa, ma ha anche contribuito a dare un segnale forte al sistema giuridico americano su come funziona la violenza sessuale:
I pubblici ministeri stanno iniziando a portare avanti casi che non avrebbero mai portato avanti anni prima. Forse sono più disordinati. Forse le prove non sono perfette. Forse sono meno tradizionali.
E quindi per provare questi casi bisogna cercare di portare nuovi tipi di prove in tribunale. E alcuni di questi tentativi avranno successo, come è successo la prima volta nel processo Weinstein. E alcuni di questi sforzi falliranno, come abbiamo visto con il ribaltamento di questa sentenza. Ma questo tipo di sperimentazione, di potenziale espansione, probabilmente è un segnale che il sistema legale è in salute e che potrebbe, in una certa misura, mettersi al passo con #MeToo.
Anche Tarana Burke, una delle fondatrici del #MeToo, è apparsa molto ottimista:
Quando abbiamo momenti bassi, ci abbassiamo e facciamo quello che dobbiamo fare. Entriamo in trincea e facciamo il nostro lavoro, e continueremo a farlo, L’esito di questo caso non cambia la situazione.
Dieci anni fa, non potevamo portare un uomo come Harvey Weinstein in un’aula di tribunale e bisogna essere chiari al riguardo.
Il sistema giudiziario non è mai stato amico dei sopravvissuti. E quindi è il motivo per cui abbiamo bisogno dei movimenti, perché storicamente sono stati ciò che ha spinto il sistema legale a fare la cosa giusta.
Oltre 100 donne hanno accusato Weinstein di averle molestate o, nei casi peggiori, stuprate, ma il produttore è finito in carcere solo per 3 di questi casi, che non avevano nemmeno grande solidità dal punto di vista della difesa, visto che 2 di queste donne hanno ammesso di aver avuto anche rapporti sessuali consensuali con Weinstein (e sappiamo quanto questa “macchia” sia grossa nella credibilità di una vittima).
I processi per violenza sessuale spesso sono molto frustranti e mettono in evidenza tutte le falle del sistema giuridico, incapace di considerare la specificità della violenza di genere: spesso sono le vittime a finire sul banco degli imputati, vedendo scandagliato e analizzato ogni dettaglio della propria vita. Come disse l’avvocata Tina Lagostena Bassi nel famoso Processo per stupro del 1979, nessun giudice si sognerebbe mai di processare la vittima di un furto anziché il ladro. Eppure, ciò succede regolarmente nei casi di stupro. Nella vicenda Weinstein, si è fatto esattamente l’opposto: anziché ricostruire il comportamento ineccepibile delle vittime lungo tutto il corso della loro vita, si è voluto ricostruire quello riprovevole dell’abusante.
È un backlash?
Nonostante l’ottimismo di Kantor e Burke, è indubbio che il femminismo statunitense stia attraversando un momento di grande sofferenza, come dimostrato anche dal ribaltamento della sentenza Roe v. Wade nel 2022.
Come racconto anche ne Il femminismo non è un brand, il #MeToo è stato uno dei momenti più significativi della quarta ondata del femminismo, specie sul piano simbolico. Ha cambiato il modo in cui parliamo e pensiamo alla violenza sessuale e ha mostrato l’importanza della voce delle vittime e delle sopravvissute. La condanna a Weinstein è sempre stata più simbolica che oggettiva, e vederla ribaltata in questo modo è una grossa sconfitta per il movimento. Se come ha detto Jodi Kantor è sbagliato pensare al movimento #MeToo come a un campo di battaglia in cui ci sono vincitori e vinti, e più in generale al femminismo come progresso, da femminista mi sento di dire che nei 10 anni dall’inizio della quarta ondata, il femminismo ne esce forse non sconfitto, ma comunque parecchio acciaccato.
Susan Faludi nel 1991 scrisse Contrattacco. La guerra non dichiarata contro le donne, un libro che ragionava sull’ascesa dell’antifemminismo degli anni ‘80, a livello politico e mediatico. La tesi di Faludi era che il femminismo è oggetto di contrattacco quando viene percepito come una minaccia troppo forte allo status quo, ma anche quando il femminismo stesso non riesce a organizzarsi. Il successo della quarta ondata, che ha portato milioni di donne (e uomini!) a identificarsi come femministe, si spiega proprio con la felice unione di un femminismo capace di entrare nella cultura pop e di un femminismo capace di organizzarsi: pensiamo alla Women’s March on Washington del 2017, ma anche alla nascita di movimenti come Non Una Di Meno in Italia. Oggi il femminismo non gode del favore della cultura pop né sembra capace di organizzarsi (perché nessuno ha protestato per il ribaltamento della sentenza Roe v. Wade???).
Quanto successo con Weinstein impone ancora una volta di pensare in che direzione sta andando questa ondata di femminismo.
Il consiglio
Per approfondire il caso Weinstein, ti consiglio di leggere Anche io. Il caso che ha dato inizio al movimento #MeToo di Jodi Kantor e Megan Twohey, edito da Vallardi. Il libro racconta il dietro le quinte dell’inchiesta realizzata per il New York Times che è valsa alle due giornaliste il premio Pulitzer.
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